Prorogate le indagini
per l'omicidio Cisse

SCADE IL 2 ottobre la proroga decisa dal gip Giuseppe Ciampa per le indagini condotte dalla procura di Napoli sull’omicidio dell’immigrato della Guinea Bissau Mohamed Khaira Cisse. Per il pm Luigi Santulli l’omicidio non presentava lati oscuri tanto da chiedere l’otto marzo 2005 l’archiviazione dell’inchiesta. Di avviso diverso l’avvocato Mario Fortunato, legale della sorella della vittima, Kadiatou Cisse, che il 17 marzo ha presentato una memoria di opposizione per evidenziare i tanti punti ancora oscuri nella ricostruzione dell’omicidio. Una tesi accolta dal gip Ciampa che ha disposto una proroga di novanta giorni e chiesto una serie di perizie prima della

conclusione delle indagini.
Trentatre anni, una laurea in Lettere, in Italia dal ’98 con regolare permesso di soggiorno, dal 2000 dipendente con contratto di un’azienda di Treviso, tornato ad Arzano dove vive la sorella (con il marito, Ousmane Diabi, e i due figli Fausta e Mohamed), perché colpito da una grave crisi depressiva diagnosticata dal centro


Alessandra Cataldi e Antonino Pane

di igiene mentale di Arzano, Mohamed Khaira Cisse viene ucciso il 5 giugno del 2003 da due carabinieri che erano andati a casa della sorella per accompagnarlo, con gli operatori del 118, in ospedale; negli ultimi giorni aveva smesso di mangiare ed era debolissimo, non si alzava dal letto e parlava con difficoltà.
Sin dal primo momento la dinamica dell’omicidio è stata poco chiara. Le forze dell’ordine descrivevano Cisse come una sorta di ossesso che avrebbe pericolosamente minacciato i carabinieri con un coltello; da qui la reazione di uno dei due carabinieri che con colpi partiti accidentalmente da una pistola (o da una mitraglietta) l’ha ucciso. Una versione ripresa e enfatizzata dal Mattino, che il 6 giugno 2003 nelle pagine della Campania, curate da Antonino Pane, pubblica un articolo firmato da Domenico Maglione. Sotto un titolo freddo (“Carabiniere uccide un immigrato”), un catenaccio e un sommario caldissimi (“Il militare prima di sparare aggredito e accoltellato” e il carabiniere “era intervenuto per sedare una rissa”) e un resoconto incandescente.
“A causarla (la rissa, ndr), a quanto pare, - scrive il Mattino - il comportamento del giovane (Cisse, ndr) di infilarsi, armato di coltello, nel letto di una donna con la quale divideva, insieme con altri, l’alloggio. Questa incomincia a gridare a squarciagola”. Preoccupati per le urla, due connazionali della donna chiamano i carabinieri. “Una gazzella della locale tenenza, comandata dal sottoufficiale Roberto Ragucci, interviene subito”. Ma Cisse


Mario Fortunato e Enrico Spada

“ormai è una furia indomabile. Non vuole sentire ragioni. E brandendo il coltello si scaglia contro uno dei due carabinieri ferendolo per fortuna in modo non grave. Dall’arma di ordinanza impugnata precauzionalmente dal militare, quasi contemporaneamente, a questo punto, parte un colpo che colpisce l’aggressore”. Quindi la sentenza: ”Sembra che non ci

siano dubbi sui motivi di legittima difesa con i quali ha agito il carabinieri”.
Contro l'articolo del Mattino Kadiatou ha presentato una querela per diffamazione perché il resoconto contrasta quasi in ogni dettaglio con i dati certi dell’omicidio e presenta un passaggio che farebbe sorridere se la vicenda non avesse avuto una conclusione tragica. Il secondo carabiniere  viene effettivamente ferito e va in ospedale a farsi medicare, ma non è stato colpito da una coltellata di Cisse, ma raggiunto di rimbalzo da uno dei colpi sparati dal collega.
Scrivere che Cisse, immobilizzato senza forze nel letto, era un aspirante violentatore e un possibile accoltellatore non è stato ritenuto diffamatorio dai magistrati che si sono occupati della denuncia presentata dalla sorella Kadiatou: il pm Alessandra Cataldi ha chiesto l’archiviazione e, nonostante l’opposizione presentata dall’avvocato Fortunato e dal suo staff (Elvira Cristofano, Luca Raviele e Enrico Spada), il gip Aldo Esposito ha sposato la linea della pm e il 25 novembre 2004 ha archiviato la querela. Questione chiusa quindi, almeno per ora; ma torniamo all’omicidio.
Se la versione delle forze dell’ordine racconta di un Cisse aggressivo e pericoloso, le testimonianze dei familiari (la sorella, il marito Ousmane e il cugino Fode Cisse) e di chi era vicino alla famiglia (l’amica di Kadiatou Wanda Brandolani che la mattina del 5 giugno 2003 chiama il 118ed è in

casa quando arrivano i carabinieri e sente gli spari; la suora missionaria Rose Marie Cogniasse, che aveva conquistato la fiducia di Mohamed ed era l’unica persona dalla quale prendeva un po’ di cibo; l’amica Giulia Casella), vanno nella direzione esattamente opposta. E proprio Giulia Casella e Maria Antonietta Rozzera (per conto di


Giovanna Melandri e Rosalba Tufano

associazioni come Legambiente, Pax Christi, Tavola per la convivenza civile e lo sviluppo umano e Tribunale per i diritti del malato) il 7 giugno 2003 diffondono una dettagliata ricostruzione della vicenda. Il documento viene inviato adorgani di stampa, a varie associazioni, ai parlamentari Diliberto, Realacci, Rutelli, Russo Spena, Turco, Melandri, Cima, Pecoraro Scanio, Boselli e Cossutta e agli esponenti della Regione Campania Bassolino, Buffardi e Tufano.
Una decina di giorni dopo esponenti di varie associazioni (tra questi, la stessa Casella per Legambiente, Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce di Antigone Napoli, l’ivoriano Abou Soumaoro, responsabile campano del Comitato immigrati in Italia) danno vita al ‘Comitato 5 giugno’, il giorno dell’omicido di Cisse. E dal comitato parte un appello che raccoglie decine e decine di firme. In prima fila a chiedere “la verità sulla morte di Mohamed Khaira Cisse” il presidente nazionale di Libera don Luigi Ciotti, il vescovo di Caserta Raffaele Nogaro e Tano Grasso, presidente della Federazione nazionale delle associazioni antiracket e antiusura.
Ma la verità sulla morte del giovane africano non si avvicina e la procura di Napoli, come si è detto, chiede l’archiviazione delle indagini. Il 5 agosto scorso per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica alcuni dei promotori


Oliviero Diliberto e Francesco Rutelli

del Comitato hanno organizzato a Napoli, ai tavolini di Intramoenia, una conferenza stampa alla quale hanno preso parte, con Giulia Casella, Samuele Ciambriello, presidente dell’associazione Città invisibile e dal gennaio 2001 numero uno del Corecom, e Enrico Spada, dello studio legale Fortunato.“Si stavano per chiudere in maniera poco comprensibile –

dichiara a Iustitia Ciambriello – le indagini su un omicidio grave. La vita umana non ha un valoreche cambia a seconda dello status sociale e del colore della pelle. È importante stabilire la verità perché la giustizia non può funzionare a fasi alterne e non ci devono essere indenni, che non vengono violate dalle indagini della magistratura. In Campania, secondo i dati 2004 forniti dalla Charitas, ci sono 111.596 extracomunitari con regolare permesso di soggiorno. Ma non è vero che ogni immigrato è un delinquente e ogni donna è una prostituta. Sono mistificazioni ricorrenti alimentate da troppi giornali e tv che diffondono un’informazione pigra e pilotata quando accadono episodi come quello che è costato la vita a Mohamed Kaira Cisse. E probabilmente non è un caso che sia stata archiviata la querela per diffamazione”.

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