La giuria del premio Siani
dopo sette mesi fa harakiri

GRAZIE A un'iniziativa indovinata il ventottesimo anniversario dell’omicidio del giornalista Giancarlo Siani ha conquistato grande spazio sui quotidiani e nei tg delle tv locali e nazionali. L’iniziativa, da fiction televisiva, è consistita nel far fare alla Citroen Mehari verde di Siani (non a caso il primo a recuperarla e a utilizzarla è stato nel 2008 il regista Marco Risi per il suo deludente ‘Fortapasc’) il percorso inverso rispetto a quello compiuto da Giancarlo la

sera del 23 settembre 1985 quando sotto casa i sicari della camorra lo crivellarono di colpi; quindi l’auto si è mossa da piazza Leonardo al Vomero per


Al volante Armando D'Alterio e, dietro, don Luigi Ciotti
raggiungere, dopo soste a piazza Dante e al San Carlo, la redazione del Mattino, con una staffetta di piloti: ha iniziato lo scrittore Roberto Saviano, hanno continuato il procuratore capo di Campobasso Armando D’Alterio, don Luigi Ciotti, fondatore e animatore dell’associazione Libera, il giornalista Giovanni Minoli, mentre l’ingresso al Mattino, nell’area che fino al 2002 occupava la rotativa, è stato affidato alla cronista Daniela Limoncelli.

La memoria

Nel largo spazio vuoto di via Chiatamone ci sono stati vari interventi, coordinati dal direttore del Mattino Alessandro Barbano, interventi legati dal filo rosso della necessità di ricordare. Ma di memoria nelle parole dette non ce ne è stata granché. La Mehari, ad esempio, è uno dei simboli di come furono condotte le indagini fino alla svolta dell’agosto 1993 con le rivelazioni del pentito Salvatore Migliorino: alcuni mesi dopo l’omicidio, la polizia chiamò il fratello di Giancarlo, Paolo, per restituire la Mehari ferma nel parcheggio della questura; nel tornare a casa, aprendo il cruscotto, fu trovata l’agenda del giornalista che nessuno degli investigatori aveva recuperato pur avendola sotto il naso. E memoria significa anche ricordare che il Mattino ha vissuto per molti anni l’esecuzione di piazza Leonardo come un fastidio e un problema perché Giancarlo Siani era un abusivo lanciato spregiudicatamente privo di copertura sulle vicende complesse e pericolose dei clan criminali, senza contare le piste tarocche a lungo enfatizzate sulle pagine del giornale. Non a caso la sera


Pietro Perone e Roberto Saviano

dell’omicidio il direttore Pasquale Nonno decide di assegnare alla notizia un titolo di taglio basso in prima pagina, che diventa una spalla d’apertura soltanto per le violente proteste di una parte dei

redattori. Non a caso il 27 settembre 1985 il Mattino annuncia in prima pagina un premio intitolato a Giancarlo che vedrà la luce soltanto diciotto anni più tardi e non per impulso del giornale. Dopo tanti anni tutto si è sbiadito e Il Mattino dedica al ‘suo’ giornalista dodici pagine: la prima, uno speciale di otto pagine, l'apertura del dorso cronaca e le due pagine successive.
Ora una breve digressione per segnalare che la trovata della Mehari viene resocontata in prima e in seconda pagina da Repubblica Napoli, con titoli fotocopia (in prima: Riparte la Mehari di Sianima i cittadini sono pochi”; in seconda: Saviano guida la staffetta ma non c’è folla intorno alla Mehari di Giancarlo), ma, si sa, Roberto Saviano è un autore della casa; il Corriere del Mezzogiorno cartaceo decide invece di ignorare l’iniziativa.

La melassa

Pochissima memoria e tanta melassa, con poche eccezioni. Nella sala della rotativa Roberto Saviano esordisce sottolineando che il Mattino di oggi è molto diverso da quello di trenta anni fa, ma si ferma lì. Nello speciale il cronista Pietro Perone racconta la storia delle indagini ed evidenzia gli anni sprecati per responsabilità della magistratura, delle forze dell’ordine ma anche del giornale. E soprattutto l’ex vice direttore Pietro Gargano nella pagina pubblicata il 19 settembre (La Mehari di Giancarlo è sempre in viaggio) cita il pentito Migliorino: “Siani fu ucciso perché dava fastidio ai politici e ai mafiosi”. E aggiunge:”Certo, il pm D’Alterio ha ottenuto altri successi ma

molto resta da scoprire”. Ma non si sa chi e quando lo farà. Poi chiarisce: “Altri colpevoli di un delitto abietto, quelli del primo livello del potere e dell’omertà, restano in ombra.
Si sarebbe dovuto avviare un processo


Luigi De Magistris e Bruno Rinaldi

anche morale per trovare e sanare le piaghe infette di tanti anni di ingiustizia. Non è accaduto, anzi molto si è fatto per inquinare ancora. Il bravo capo della Squadra mobile napoletana, Bruno Rinaldi, dopo avere esplorato tanta vergogna lasciò la polizia: forse si sentiva impotente, forse aveva nausea”. E probabilmente non è un caso che Gargano non sia tra le firme dello speciale e Rinaldi non figuri nell’elenco degli ospiti.   
Da vivo Siani “dava fastidio ai politici”, da morto no. La mattina del 23 settembre la sede del Mattino pullula di ‘politici’, da Caldoro a De Magistris, da parlamentari di vari colori fino a figure di secondo e terzo livello. La retorica scorre impetuosa e travolge Barbano, in parte giustificato perché è a Napoli da meno di un anno: “qualche giorno fa davanti al Mattino ho visto dei ragazzi con in mano una torta per festeggiare il compleanno di Giancarlo Siani e mi sono commosso”. In redazione qualcuno avrebbe dovuto spiegargli che la premiata coppia Borrelli-Sorbillo con pizze e dichiarazioni da anni inonda l’Ansa e, a seguire, i giornali. Per colmare un vuoto di informazione, citiamo qualche ‘pizza’ a caso: per il parco dell’amore a Pozzuoli, per l’incendio a Citta della scienza, per i venti anni di Tangentopoli.


La giuria

E veniamo al premio Siani. Per l’edizione 2012 la giuria è presieduta da Armando D’Alterio ed è formata da dodici membri: due rappresentanti dell’Ordine dei giornalisti della Campania (il presidente Ottavio Lucarelli e il segretario Gianfranco Coppola), due dell’Assostampa (il presidente Enzo Colimoro e il segretario  Cristiano Tarsia) due del Mattino (il direttore Virman Cusenza e Daniela Limoncelli), due dell’università Suor Orsola Benincasa (il rettore Lucio D'Alessandro e Guido Pocobelli Ragosta) e quattro componenti dell’associazione Siani (Paolo Siani, Enzo Calise, Geppino Fiorenza e Adriana Maestro). 
Ai primi di settembre dell’anno scorso la giuria si riunisce e decide di assegnare il primo premio ex aequo al libro firmato da Maria Falcone con Francesca BarraGiovanni Falcone, un eroe solo’, pubblicato da Rizzoli, e a ‘Giancarlo Siani. Passione e morte di un giornalista scomodo’ di Bruno De Stefano, edito da Giulio Perrone.
Il bando del premio prevede però la pubblicazione entro il 20 giugno, mentre il volume di De Stefano arriva nelle librerie soltanto a fine settembre, a premio assegnato. A giugno alla giuria sono state inviate tre copie stampate al


Bruno De Stefano e Paolo Siani

computer in una versione che tre mesi più tardi verrà modificata. È con tutta evidenza un libro ‘impremiabile’ perché un premio per la legalità non può essere assegnato a chi le regole le viola. Interpellato da Iustitia

il presidente della giuria Armando D’Alterio, procuratore a  Campobasso e nel ’93 pm della procura di Napoli che, insieme al capo della Mobile Bruno Rinaldi, riapre le indagini sull’omicidio Siani, assicura: “Faremo immediate verifiche in relazione a quanto da lei riferito”.
Mentre presidente e giuria avviano le verifiche, il 24 settembre De Stefano viene proclamato vincitore e a fine mese il volume finalmente raggiunge le librerie. Emerge così che la versione definitiva presenta notevoli differenze rispetto alle copie spedite a giugno alla giuria. Cambiano, tra l’altro, la biografia dell’autore, il prezzo, la controcopertina e le citazioni che aprono il volume (scompare Paolo Borsellino, sostituito dal cronista del Mattino Maurizio Cerino).
Ma la modifica più grave è l’inserimento alla fine del libro di otto pagine intitolate “Giancarlo Siani fotocronaca di un’esecuzione”; si tratta di otto scatti fatti dal fotografo della polizia scientifica la sera dell’esecuzione e ritraggono Giancarlo Siani riverso nella sua Mehari, con il volto e la maglietta rigati di sangue e gli occhi fuori dalle orbite. Sono foto raccapriccianti, gratuite e con nessun interesse di cronaca dal momento che arrivano a ventisette anni dall’omicidio. Iustitia contatta cinque tra i più autorevoli componenti della giuria: D’Alterio, Coppola, Cusenza, Lucarelli e Paolo Siani. Tutti dichiarano di non avere visto le foto e la domanda scatta immediata: ma che libro avete premiato se non l’avete neanche visto nell’edizione che si acquista in libreria?
Alla domanda se sono interessati a ricevere via mail la foto più impressionante tutti rispondono di sì, tranne D’Alterio. Ed è una risposta sorprendente perché la pubblicazione di “foto raccapriccianti” apre una questione sul fronte deontologico, una seconda sul versante dei familiari della vittima e una terza penale. “L’articolo 15 della legge sulla stampa (n. 47 dell'otto febbraio 1948) – scrive Franco Abruzzo, dal 1989 al 2007 presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia - punisce, con la pena della reclusione da tre mesi a tre anni, la pubblicazione di “stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari in modo da poter turbare il comune sentimento della morale o l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti”. Questo principio vale per tutti i media. L’articolo 15 è stato esteso al sistema televisivo pubblico e privato dall’articolo 30 (comma 2) della legge n. 223 del '90 (legge Mammì)”. Abruzzo ricorda inoltre che “l’articolo 15 della legge sulla stampa è stato ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 293 del 2000” e cita casi famosi di immagini impubblicabili chiusi da sentenze della magistratura: “i giudici hanno ritenuto che fossero raccapriccianti e impressionanti le foto del cadavere di Aldo Moro, quelle del corpo in decomposizione di Alfredino Rampi (il piccolo finito nel pozzo di Vermicino); le immagini della contessa  Alberica Filo della Torre; le foto delle piccole vittime della pedofilia”.


L'harakiri

Di fronte a questa iniziativa incredibile, Paolo Siani fa sapere che il 2 ottobre, insieme a D’Alterio, ha chiesto un parere al presidente dell’Ordine degli avvocati di Napoli Francesco Caia. Sono settimane calde per gli avvocati e dopo poco più di mese Caia restituisce il materiale a Siani perché non ha tempo per esprimere un parere approfondito. Intanto gli unici operativi sono il presidente dell’Ordine Lucarelli che stoppa la consegna dell’assegno a De Stefano e il segretario Coppola che invia la “foto raccapricciante” a tutti i membri della giuria e ai componenti dell’Ordine regionale dei giornalisti, mentre mese dopo mese si susseguono le riunioni della giuria del premio.
Si arriva ai primi giorni di aprile con l’impegno di prendere finalmente una decisione perché sta diventando concreto il rischio di consegnare insieme il premio 2012 e quello 2013. I lavori si concludono con una lettera, approvata all’unanimità e indirizzata a De Stefano e a Perrone, che è un autentico suicidio logico e d’immagine. Questi passaggi centrali.
La Giuria (con la g maiuscola, ndr) prende atto che il libro ricevuto a giugno è diverso da quello poi messo in vendita”. Quindi i termini del bando non sono stati rispettati e il libro va escluso dalla competizione.  
A renderlo differente sono sostanzialmente le otto fotografie pubblicate in appendice. Sono foto di Giancarlo Siani immediatamente successive al delitto che la Giuria all’unanimità ritiene raccapriccianti  e non utili all’opera di De Stefano, anche perché pubblicate 26 anni dopo l’accaduto, e che cambiano la valutazione del volume. In particolare la foto a pagina VIII è ritenuta particolarmente scioccante e desta impressione e raccapriccio in un osservatore di normale emotività e ancora di più quindi nei familiari e negli amici di Giancarlo”.

Le copertine dedicate al controverso premio assegnato a Bruno De Stefano

Le foto sono “raccapriccianti”; una in particolare è “scioccante” e “desta impressione e raccapriccio”, quindi il premio andrebbe ritirato, anche perché le “foto raccapriccianti” configurano una precisa ipotesi di reato. Invece la conclusione è sconcertante: “La Giuria conferma il premio a De Stefano” e (è l’aggiunta di una foglia di fico) “chiede di eliminare dal libro le suddette foto in appendice”. Già siamo nel grottesco, ma si va avanti e si punta al comico: “La Giuria (sempre con la maiuscola, ndr) prende atto di avere in buona fede e inconsapevolmente premiato un libro diverso da quello effettivamente presente in libreria”.
Insomma, avete tutte le motivazioni per ritirare il premio a De Stefano, chiedendogli con durezza conto di un comportamento che viola i princìpi del premio, non lo fate e addirittura vi autocertificate la “buona fede”. Sarà interessante verificare se c’è qualcuno disposto a riconoscerla.
Resta da capire perché persone stimate come Armando D’Alterio e Paolo Siani abbiano deciso di premiare un libro ‘impremiabile’. L’unica spiegazione è che i loro tentennamenti (vedi Caia), le loro perplessità (il congelamento dell’assegno) si siano spenti di fronte alla linea dura di qualche giurato minore che non voleva aprire spiragli per un’autocritica, per l’ammissione, onesta e alta, di un errore. Era una crepa. Costituiva un precedente pericoloso e altri potevano magari chiedere conto di altre iniziative, di chi sono i corifei dell’anticamorra e quale investitura hanno ricevuto.
Per concludere, sette mesi dopo il premio sappiamo che la giuria, “all’unanimità”,  ha preso consapevolezza che le foto sono “raccapriccianti” e che quindi costituiscono un reato. Ci aspettiamo perciò che i giurati tutti, nessuno escluso, segnalino all’autorità giudiziaria le foto di Giancarlo Siani.
Un’ultima notizia: quattro giorni dopo la lettera di autoassoluzione Bruno De Stefano ha ricevuto l’assegno del premio.