Casina del boschetto,
il comune non ha fretta

IL PROSSIMO 18 dicembre davanti al giudice Rosa Romano Cesareo della IX sezione civile del tribunale partenopeo si terrà una nuova udienza del giudizio promosso dal comune di Napoli nei confronti dei presidenti dell’Associazione napoletana della stampa Franco Maresca, che l’ha guidata dal marzo 1994 all’ottobre 2002, e Gianni Ambrosino, subentrato nell’ottobre 2002 e rimasto in carica fino al maggio 2007. Oggetto del processo è il pagamento di svariati milioni di euro da parte dei rappresentanti dei giornalisti campani a Palazzo San Giacomo per il ritardato rilascio della Casina del boschetto in villa comunale, per decenni sede del sindacato e dell’Ordine regionale dei giornalisti. Gli avvocati del comune hanno avviato il giudizio il 7 luglio 2021 e la prima udienza si è tenuta il 31 gennaio del 2022.
La querelle però è lunga e complicata ed è quindi necessario un riassunto delle puntate precedenti. Il 22 maggio del 2013 la Corte di cassazione ha messo il sigillo definitivo al contenzioso tra il comune di Napoli e

l’Associazione napoletana della stampa sulla Casina del boschetto.
La terza sezione civile della Suprema corte (presidente Francesco Trifone e consiglieri Alfonso Amatucci,

Luigi De Magistris e Gaetano Manfredi

Annamaria Ambrosio, Luigi Alessandro Scarano e relatore Franco De Stefano) ha confermato la sentenza della seconda sezione civile della Corte d’appello di Napoli (presidente Domenico Balletta e consiglieri Umberto Di Mauro e Alessandro Cocchiara estensore) che nel maggio del 2006 ha condannato i vertici del sindacato campano a pagare 2 milioni e 528.347,24 euro, oltre interessi legali e rivalutazione Istat, al comune di Napoli. Una somma che oggi è probabilmente vicina ai cinque milioni di euro e che scaturisce dalla differenza tra la cifra che il sindacato per anni avrebbe dovuto versare a palazzo San Giacomo e il canone mensile di 129.931 lire che l’Assostampa dal 1985 pagava per un immobile su via Caracciolo all’interno della villa comunale con 1.300 metri quadrati coperti e 2.200 scoperti. Non a caso i dirigenti del sindacato, dopo lo sfratto nel novembre del 1999, avevano offerto al comune un canone mensile di 38mila e 650 euro.
Nel dare la notizia della sentenza della Cassazione Iustitia titolòDopo cent’anni si scioglie il sindacato dei giornalisti”. Qualcuno commentò che era un titolo infondato e catastrofista. Dopo nove mesi l’Assostampa venne cacciata dalla Federazione della stampa e il mese successivo venne sciolta, in due tempi, davanti al notaio Chiara D’Ambrosio.
A distanza di oltre dieci anni e mezzo dalla sentenza della Cassazione che cosa ha fatto il comune di Napoli per incassare i milioni dovuti

Stefano Cianci e Fabio Ferrari

dal sindacato dei giornalisti? Poco, molto poco, e quel poco è stato fatto soprattutto nei primi mesi dopo la sentenza della Suprema corte.
Allora erano in campo il professore Stefano Cianci per

la Romeo Gestioni spa che amministrava i beni di proprietà del comune e il dirigente dell’avvocatura civile di Palazzo San Giacomo Fabio Ferrari. Cianci il 6 novembre 2013 fece notificare all’Assostampa due precetti per un importo complessivo di tre milioni e 483.845 euro. Non trovando beni di valore nelle stanze di via Cappella Vecchia indirizzò i pignoramenti nella direzione dell’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti, e della Casagit, la cassa di assistenza sanitaria integrativa, che ogni anno versavano al sindacato campano (come a tutte le associazioni regionali) 190mila euro (il dato 2012 è di 189mila euro).
L’iniziativa fruttò alcune decine di migliaia di euro ma segnò anche la fine dell’Assostampa che venne immediatamente scaricata da Inpgi, Casagit e, a marzo 2014, dalla Fnsi per evitare che la voragine partenopea arrivasse a Roma. Cianci preparò inoltre la documentazione per avviare i pignoramenti nei confronti di Maresca e Ambrosino. A questo punto la scena dal lato di Palazzo San Giacomo cambia; un contenzioso tra il comune e la Romeo estromette dalla vicenda l’unico protagonista super attivo, il professore Cianci. Le iniziative per l’incasso sono nelle mani dell’avvocatura comunale  
e dei sindaci Luigi De Magistris e Gaetano Manfredi. Il primo quando ha saputo della vicenda, siamo nel novembre 2015 all’inaugurazione di

via Luciana Pacifici al Borgo Orefici, si dichiarò molto interessato alla questione poi qualcosa o qualcuno gli hanno fatto cambiare idea. Manfredi e il suo entourage non sembrano molto

Chiara D'Ambrosio e Francesco Trifone
interessati a occuparsi di possibili entrate. Il risultato è che l’azione giudiziaria per l’incasso è stata avviata nel luglio 2021, a distanza di oltre otto anni dalla decisione della Suprema corte, e che la causa va stancamente avanti da ventidue mesi.
Eppure le finanze dell’amministrazione comunale sono costantemente in difficoltà e l’otto novembre la procura napoletana della Corte dei conti, guidata da Antonio Giuseppone, ha dato notizia di sette indagati per la mancata riscossione dei canoni di immobili di proprietà comunale per un importo di 133 milioni di euro.