Assolto il carabiniere che nel
2003 uccise Mohamed Cisse

IL 29 MAGGIO è arrivata, inevitabile, la seconda definitiva sconfitta davanti al tribunale penale di Napoli per i familiari di Mohamed Khaira Cisse, il giovane africano ucciso dall’arma di un carabiniere mentre era a letto a casa della sorella Kadiatou ad Arzano. I carabinieri erano stati chiamati da un’amica italiana di Kadiatou per accompagnare in ospedale con il 118

Mohamed che, colpito da una forte crisi depressiva, era in condizioni gravi perché da una settimana non voleva più mangiare.
Il giudice Francesco Todisco ha assolto dall’accusa di omicidio colposo il carabiniere Antonio Cerqua della tenenza di Arzano, che


Giulia Casella e Maria Antonietta Rozzera

insieme al collega Francesco Iacolare, il 5 giugno del 2003 si era recato a casa di Kadiatou Cisse, facendo partire due colpi mortali dalla sua pistola per difendersi da Mohamed Cisse che, secondo la versione fornita in fotocopia dai militari, brandiva un coltello, del quale peraltro subito dopo gli spari non si è trovata traccia.
Mohamed Cisse era nato nel marzo del ’70 nella Guinea Konacry, aveva una laurea in lettere ed era arrivato in Italia nel 1998 per cercare lavoro e raggiungere la sorella che da anni viveva ad Arzano con il marito Ousmane Diabi e i due figli nati in Italia, Fausta e Mohamed. Nel 2000 Mohamed Cisse, che dal ’98 ha un regolare permesso di soggiorno, si trasferisce a Treviso e viene assunto come operaio in una fabbrica. Resiste poco più di due anni, ma in Veneto sta male e, nell’aprile 2003, decide di tornare in Campania, dalla sorella. Al centro di igiene mentale di Arzano gli prescrivono delle cure per la depressione, ma dopo poco le rifiuta; allora la sorella, sempre più preoccupata, va a Treviso a recuperare i suoi documenti e si prepara a riaccompagnarlo in Africa.
I passaggi oscuri della morte di Mohamed Cisse vengono subito denunciati da un documento (“S.O.S. urgente: giustizia per la morte di un innocente”) promosso da Giulia Casella e Maria Antonietta Rozzera e dalle


Enrico Spada e Mario Fortunato

associazioni Legambiente, Tribunale per i diritti del malato, Pax Christi e Tavola per la convivenza civile e lo sviluppo umano. 
Seguono cinque anni di indagini

e, dal giugno 2006, di udienze del processo, trascorsi tra perizie e controperizie, richieste di archiviazione e proroghe di indagini, chiuse dal gip Giuseppe Ciampa con una imputazione coatta che passa il fascicolo al gup Todisco. Il giudice accoglie la richiesta presentata dall’avvocato di Cerqua, Antimo D’Alterio, di un giudizio con rito abbreviato accompagnata da una nuova perizia, affidata al consulente Domenico Compagnini, che nella sostanza si allinea alle tesi della difesa. L’ultimo atto è l’assoluzione del carabiniere Cerqua “perché il fatto non costituisce reato”; per conoscere le motivazioni bisognerà invece attendere novanta giorni dalla sentenza.
La decisione di Todisco è la seconda sconfitta in sede penale per i familiari di Cissa perché nel novembre 2004 il gip Aldo Esposito, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Alessandra Cataldi, aveva archiviato sorprendentemente la querela per diffamazione presentata dalla sorella di Cisse nei confronti del Mattino, che il 6 giugno 2003 aveva pubblicato un

articolo firmato da Domenico Maglione. Il giornalista raccontava di militari accorsi per sedare una rissa, di tentativi di entrare armati nel letto di una donna, di un’aggressione forse effettuata con l’obiettivo di una violenza sessuale.
Nella tragedia di


Alessandra Cataldi e Antimo D'Alterio

Mohamed Cisse l’unica nota non negativa scaturita dalle vicende legali è l’accordo raggiunto con la compagnia assicurativa del ministero dell'Interno dall’avvocato Mario Fortunato e dai legali del suo studio, Luca Raviele e Enrico Spada, che sin dal giugno 2003 hanno assistito sul versante penale la famiglia Cisse. In questi casi un risarcimento, per quanto congruo, non risarcisce; ma è stato comunque utile per i familiari portare a casa un risultato prima di una decisione in qualche modo prevista.