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Sepe e Nino D’Angelo, Raffaele Cantone e Peppino di Capri, Alfonso Iaccarino e Paolo Mancuso. E per non farci mancare mai nulla nell’elenco dei top 100 spunta anche Gigino “purpetta” Cesaro, che in caso di future accuse di collusioni con ambienti malavitosi potrà sempre dire che in quel periodo era impegnato a firmare il manifesto pro Mazzarri.
Ma non tutti sono d’accordo: i dissidenti si raccolgono intorno al penalista Claudio Botti che sul napolista.it parla di “ una intelligente ed accattivante operazione editoriale, forse poco originale”, mentre su Mazzarri è spietato: “Sono sempre i mediocri a farsi pregare, mai i grandi, ed a questo punto c’è da augurarsi che De Laurentiis, facendosi prendere la mano dal suo incontenibile protagonismo, lo accompagni alla porta senza alcun rimpianto”.
Ai botti di Botti replica Demarco il 16 maggio con un tric trac su “gli orfani di Maradona e i moralisti ad ogni costo, che si indignano perché gli intellettuali si mobilitano
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per il calcio e non per i mali di Napoli”. A loro è dedicata la chiosa dell’articolo: “di rado dai moralisti di professione a Napoli è venuto un solo sospiro di protesta civile”.
E così, tra raffinati tocchi di fioretto e pesanti colpi di scimitarra si arriva a Roma-Napoli, ultima di campionato, e si attende la decisione del mister di San Vincenzo. Mazzarri lascia, e dopo la quarta stagione torna dietro le quinte. Di chi la colpa? Molti i sospettati. Massimo Moratti, la cotoletta, quel simpaticone di Aurelio De Laurentiis (“Nel Napoli conto solo io”).
Noi abbiamo un’idea: a far decidere per l’addio è stato un silenzio assordante e pesante come un macigno. In quella lista dei cento nomi non c’erano né Francesco Borrelli, ex assessore provinciale al Pensiero Inutile, che non ha neppure diramato una nota Ansa, né il pizzaiuolo Gino Sorbillo che però è giustificato perché impegnato in quei giorni a creare una pizza in onore di Bruce Springsteen, the Boss |
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